Storia e trama della Virginia di Saverio Mercadante
Virginia è una tragedia lirica in 3 atti di Saverio Mercadante, su libretto di Salvatore Cammarano che si ispirò all’opera omonima di Vittorio Alfieri, la cui fonte era la Storia di Roma di Livio, in parte storia ed in parte leggenda dell’antica Roma. La prima ebbe luogo al San Carlo di Napoli, dove fu uno dei più grandi successi mai registrati. In un’atmosfera commovente, Mercadante, ormai vecchio e cieco, presente alla seconda rappresentazione, fu applaudito ripetutamente attraverso dozzine di chiamate alla ribalta. L’opera è piena di belle scritture sia per solisti che per ensemble. Nel 451 a. C. Roma è governata dai Decemviri guidati da Appio Claudio. All’inizio del primo atto Appio sta partecipando ad una sontuosa festa a palazzo. Per consolidare il potere patrizio, ha bandito i matrimoni tra patrizi e plebei ma lui stesso è innamorato di una plebea, Virginia, figlia del centurione Virginio, promessa sposa del tribuno Lucio Icilio. Appio manda il suo scagnozzo Marco Claudio a visitare Virginia con la missione di convincerla del suo amore ma lei si rifiuta. Mentre Virginio è in guerra, Virginia è a casa che piange sua madre morta da poco. Le sue amiche cercano di tirarla su, ricordandole l’uomo che ama ma lei ha paura di Appio e manda la sua infermiera Tullia a cercare il cugino Valerio; spera che possa trovare suo padre per esortarlo a tornare dal fronte di battaglia. Appio cerca inutilmente di sedurre Virginia di persona, capisce che deve già avere un amante e chiede di sapere chi è; lo capisce quando arriva Icilio. L’atto si conclude con un drammatico ed insolito trio (per tenori e soprano): Appio e Icilio discutono, mentre Virginia esige che Appio lasci casa sua e dice che morirà prima di cedere ad Appio, pensiero condiviso da Icilio. All’inizio del secondo atto Virginio è tornato dalla battaglia, Virginia gli chiede aiuto, lui deve tornare al suo comando e fa in modo che sua figlia si sposi immediatamente. Con Appio arriva Marco all’esterno del tempio dove sta per iniziare il matrimonio e dichiara che Virginia gli appartiene e non può sposare Icilio perché è nata da una sua schiava, poi rubata e venduta a Virginio. Virginio nega e Icilio accusa Marco di falsità. La folla riunita per il matrimonio è quasi in rivolta e fa fallire il tentativo di sequestrare Virginia con la forza. Virginio viene convocato in giudizio. A decidere se la giovane appartenga a Marco è lo stesso Appio. Il terzo atto inizia con una bellissima introduzione per corno inglese e arpa: Marco ha convocato Icilio nel palazzo di Appio per offrirgli una promozione nell’esercito, ma dovrà lasciare Roma per unirsi alle legioni. Icilio rifiuta e, mentre se ne va, Appio dice che Icilio il giorno dopo sarà cadavere. A casa Virginia apre un duetto emozionante per soprano (Virginia) e baritono (Virginio) cantando “Sacre Penati”, un appello agli dei della casa, in cui si lamentano di ciò che sono sicuri sarà un cattivo finale (il pezzo è all’altezza dei più alti standard dell’opera italiana di quel tempo). Il giorno dopo Virginia e suo padre stanno per partire per il foro, sapendo che Appio si pronuncerà contro di loro. Arriva Valerio con la cupa notizia che Icilio è stato assassinato e tutti sanno che il responsabile è Appio. Nel finale tutti sono riuniti al foro dove Appio annuncia la sua sentenza schierandosi con Marco, dicendo che Virginia è nata da una sua schiava e deve tornare da lui. Virginia preferirebbe morire piuttosto che sottomettersi, suo padre implora un’ultima possibilità di abbracciarla ma mentre si avvicina la pugnala a morte, negando ad Appio la vittoria ed esclamando “Questo è l’unico modo, figlia mia, per darti la libertà”. Appio ordina l’arresto di Virginio ma il centurione si è già fatto strada tra la folla attonita, esibendo il cadavere di Virginia e provocandone l’ira e la ribellione contro Appio e i suoi uomini che vengono sopraffatti. Mercadante inizialmente suggerì Virginia come soggetto di un’opera al Teatro La Fenice nel 1839, ma l’idea fu respinta. Nel 1848 chiese a Cammarano di scrivere il libretto; lui accettò consegnandolo completo alla fine del 1849. Mercadante terminò di comporre l’opera nel marzo del 1850. Alla prima, prevista qualche mese dopo, fu posto il veto da Ferdinando II di Napoli (trattamento analogo fu subito da altri compositori); questo scatenò forti critiche e non poco ridicolo in tutta Europa. La censura propose a Mercadante di apportare modifiche per poter rappresentare l’opera ma il compositore e il librettista si rifiutarono e Virginia fu sostituita da Medea, un’altra opera di Mercadante. Nel 1852 Ferdinando nominò Mercadante ispettore delle bande militari reali, incarico che portò alla commissione di diverse composizioni (Fantasia sull’inno Russo, Fantasia sull’inno borbonico) ma non revocò il divieto all’opera. Nel 1861 il Regno delle Due Sicilie, in ginocchio a causa di 3 forti terremoti (di magnitudo 5.9, 6.3 e 7) avvenuti tra il 1851 ed il 1857, fu facilmente conquistato dalla spedizione di Garibaldi e l’opera poté essere rappresentata a Napoli il 7 aprile 1866; fu il suo ultimo grande successo. Mercadante era diventato cieco e continuò a dettare le composizioni ai suoi studenti fino ad un mese prima di morire nel 1870. Virginia fu eseguita durante il decennio successivo alla sua prima in vari teatri italiani (come Roma (1872) e Torino (1877)) e tornò al San Carlo nel 1901.