“Amor Vincit Omnia” di Caravaggio e la chiesa Madonna delle Grazie di Gravina, un accostamento
Sarebbe stato bello scoprire che il quadro di Michelangelo Merisi, universalmente detto Caravaggio si trovasse proprio all’interno della chiesa di Gravina in Puglia, ma purtroppo non è così. Il filo conduttore di questa storia è la potente famiglia genovese dei Giustiniani, della quale sono protagonisti due componenti in particolare: uno è Vincenzo Giustiniani (1564 – 1637), il più grande mecenate dell’Italia del 1600, l’altro è il Monsignor Vincenzo Giustiniani (1550 – 1614), vescovo della Diocesi di Gravina in Puglia. Ma facciamo un piccolo passo indietro.
Dal 1363 la famiglia Giustiniani amministrava l’isola di Chios in Grecia (ex colonia della Repubblica di Genova), che si trova a soli 15 km in linea d’aria dalla Turchia. Per loro fu molto difficile resistere ai continui attacchi dell’impero Ottomano, che nel 1566 riuscì a conquistare definitivamente l’isola. Per questo motivo il futuro vescovo, Vincenzo Giustiniani, scappò via da Chios e a soli 16 anni raggiunse Genova con il fratello Marco Antonio, e in seguito anche Torino, in quanto avviato alla vita religiosa e affidato alle cure e alla formazione dello zio paterno Angelo, frate francescano. Il giovane Vincenzo studiò con tale dedizione e profitto tali da portarlo a conseguire la laurea in legge e ad apprendere anche le lingue, soprattutto l’arabo, il greco e il latino che parlava con naturalezza.
L’altro Giustiniani, invece, con suo padre e suo fratello maggiore Benedetto raggiunse Roma, dove ad aspettarli c’era uno zio Cardinale. L’ascesa della famiglia, trasferitasi a Roma, fu immediata. Negli anni successivi, anche per merito del padre, entrarono nelle grazie del papa e Vincenzo ne diventò tesoriere. Nel 1586 papa Sisto V elevò Benedetto al rango di Cardinale, il quale, a sua volta, sin da subito scelse di chiamare al suo fianco il parente Vincenzo. Dopo un inizio di carriera nei pressi di Roma, nel 1593 venne nominato vescovo dal papa e trasferito nella diocesi di Gravina.
Tra le sue prime opere si ricorda il seminario diocesano, il primo in terra di Bari, dedicato alla formazione dei giovani, all’epoca, tra l’altro, ne esisteva soltanto uno in tutto il regno di Napoli, a Napoli appunto. Giustiniani è passato alla storia anche per la lotta che lo aveva visto opposto alla città di Altamura: il Duomo della città, difatti, godeva di un privilegio istituito da Federico II, che aveva reso la chiesa altamurana esente da giurisdizioni vescovili e dipendente esclusivamente dal sovrano (che nominava l’arciprete di Altamura) e dalla Santa Sede.
I vescovi di Gravina, per secoli, tentarono di opporsi a questa situazione, cercando, invano, di includere Altamura nella diocesi di Gravina. Giustiniani arrivò anche, nel 1601, a lanciare la scomunica su Altamura (perché gli era stato impedito di compiere una visita pastorale in città): la scomunica fu revocata solo nel 1622, ma gli scontri continuarono per decenni, concludendosi soltanto nel 1818, anno in cui papa Pio VII confermò ad Altamura i suoi diritti.
A cavallo tra il 1597 e il 1598 iniziarono i lavori per la chiesa della Madonna delle Grazie, molto a cuore ai cittadini gravinesi, meta di pellegrinaggio. Quando la chiesa fu ultimata (1602) possiamo solo immaginare lo stupore dei cittadini nel vederla. Nella facciata principale è inciso lo stemma della famiglia (non si conoscono, infatti, altri edifici così imponenti, creati per celebrare una famiglia), riproducendone lo stemma sulla facciata in scala tanto monumentale. Un esempio unico nel mondo della storia dell’arte.
Il suo omonimo nel frattempo era diventato il banchiere più in voga dell’Urbe, nel 1598 abitava in uno dei palazzi più importanti di Roma, palazzo Madama (oggi sede del Senato), di fronte alla chiesa San Luigi dei Francesi, dove proprio in quegli anni Caravaggio dipingeva il ciclo pittorico di San Marco per la cappella Contarelli. Venuto a conoscenza del fatto che il Cardinale aveva rifiutato la prima versione di “San Matteo e l’angelo”, il banchiere aveva fatto di tutto per acquistarla. Da quel momento in poi era diventato il primo committente del pittore lombardo, la sua opera più famosa per commissione è proprio “Amor Vincit Omnia” che il banchiere preferiva tenere dietro una tendina, perché pure a lui sembrava eccitante, eccellente e un po’ fuori luogo.
Al momento della sua morte la collezione vantava più di 600 opere d’arte, tra quadri e sculture, tra cui si annoverano quadri del Ghirlandaio, Perugino, Giorgione, Raffaello, Correggio, Lorenzo Lotto, i Carracci e molti altri. Di notevole importanza è “Il Cristo porta Croce” di Michelangelo, presente anche questo, non si sa come, nella vasta collezione del marchese Giustiniani.
Occorre notare come fosse quasi impossibile nel 1600 riuscire ad acquistare un Michelangelo, giacché si trattava del più grande artista vissuto fino a quel momento. È molto probabile che l’opera di Michelangelo fosse stata vista nella casa del marchese dal suo parente ed omonimo gravinese in una delle tante visite a Roma (il vescovo possedeva un appartamento nel rione Monti). A conferma di ciò, v’è una riproduzione del “Cristo porta Croce” sulla porta laterale della Cattedrale di Gravina, affiancato dai santi Pietro e Paolo. Oggi la statua di Michelangelo si trova a Roma nella chiesa di Santa Maria Sopra Minerva, proprio nel luogo in cui veniva seppellito il mecenate Giustiniani e qualche secolo più tardi (a confermare il legame con Gravina), papa Benedetto XIII Orsini.
Davide Matera