Intervista. Maria Santa Colamonaco è catarsi artistica, premiata “Donna di Puglia”
Donna poliedrica, introspettiva, affascinante. Nel regno del cristallo e dell’estetica Art Nouveau, Maria Santa Colamonaco è leggenda del vetro Tiffany, epicentro di design raffinato e visione artistica completa ed onnicomprensiva. Appassionata innovatrice e sperimentatrice, uno dei suoi capolavori (due vetrate Sacre) padroneggia nella Chiesa della Madonna del Rosario a Lecce, immerso in una atmosfera di monumentale rigore e ascesi spirituale.
Ammirare le tue creazioni è essere attratti dal calore della luce che si riversa attraverso ogni paesaggio o ogni interpretazione vibrante. Quando hai dato il meglio di te nella singolare irrazionalità dell’artista?
Sempre. Ogni lavoro per me è un atto di sfida. Le mie opere sono una ri-creazione selettiva delle mie emozioni. Attraverso la mia arte, i miei vetri colorati, le loro forme, le loro trasparenze, cerco semplicemente un linguaggio di cui prima non trovavo parole.
Se dovessi fare per noi un viaggio virtuale nelle bellezze di Altamura, dove ci condurresti?
“Sarebbe un viaggio lungo, perché Altamura ha bisogno di essere vissuta per apprezzare la sua bellezza. Sono stata anche io portata per mano, e ad ogni passo fatto, ho vissuto fatica e stupore. Se usassi la mia razionalità nel descriverne i luoghi, si dissolverebbe il fascino dell’ulteriore voglia di scoprirne ogni suo splendido aspetto. Ho però riscontrato nel tempo, seppur a mie spese, una realtà riassumibile in un passo del Vangelo secondo Tommaso: Nessun Profeta è ben accolto nel suo Paese e un Medico non opera guarigioni tra coloro che lo conoscono” (Gesù di Nazaret).
Le tue opere sono esperienze emozionali: osservare il vetro in prossimità dei milioni di elementi abbaglianti è come immergersi in pannelli vitrei dalla straordinaria bellezza. Nella nostra società fluida, c’è ancora posto per la contemplazione artistica?
“Assolutamente si, ci deve essere. Siamo accecati dalle incertezze. Ma questo lungo periodo ci ha portati verso un dialogo con noi stessi. Paradossalmente, la contemplazione artistica, ci restituisce la nostra individualità, ci riporta a riscoprirci, a non omologarci. Ognuno di noi davanti ad un’opera d’arte reagisce diversamente. È se stesso con i propri pensieri, soggettivi e personali, pronto a condividerli dopo aver acquisito una propria identità e consapevolezza. L’arte risponde di riflesso a ciò che accade, muta a seconda delle diverse necessità, si evolve in base ai cambiamenti, inventa soluzioni per andar oltre le difficoltà del momento. Nella mia forma artistica, la luce, che attraversa le mie opere, è motivo di riflessione su ciò che abbiamo perso, ma anche su ciò che riscopriamo di avere. Arte che sa esser terapia”.
Una delle sue opere, un pannello fotovoltaico intarsiato dai mutevoli effetti di luce vetrata, dopo la Mostra Internazionale al Carlo V di Lecce, è tutt’oggi esposta in modo permanente nel Comune di Otranto. Il critico e storico dell’Arte Prof. Vincenzo Abati, di Maria Santa Colamonaco recensisce: ”l’opera vitrea colpisce per quella precisione signico-cromatica con cui l’Artista compone con rispetto e particolare abilità, una composizione che nelle sue espansioni quasi atmosferiche, sembra voglia proporre sentimenti di evasioni e catarsi”.
Marina Angelastro
Questa intervista di Marina Angelastro con Maria Santa Colamonico è in sé stessa un riuscito riflesso di bellezza e di tensione comunicativa. Complimenti a chi formula le domande e a chi costruisce in modo così intenso e lucido le risposte.
L’arco su cui il dialogo tra le due donne si dispiega riesce così bene a farci sentire familiare, come lettori, il poter per un momento abitare un luogo di forti vibrazioni estetiche e di intensa carica emotiva. I mille pezzi dei vetri colorati, di cui Maria Santa ci racconta e attraverso cui ella si racconta, diventano elementi di una sostanza vitale che ella elabora dentro il suo immaginario artistico, mettendolo poi nelle mani e sotto gli occhi di chi ne osserva il prodotto. In questo senso l’intervista è un atto di generosità, capace di creare un campo magnetico di conversazione tra l’artista e lo spettatore, mentre la giornalista che intervista si fa non da parte, ma punto di raccordo e di mediazione.