Ritorno ai luoghi di delizia
Verisimilmente, meno di dieci persone delle oltre cinquecento che hanno assistito al concerto finale dei Suoni delle Murgia, giunto alla 12ª edizione il 19 luglio 2015, erano mai entrate nel cortile del castello fridericiano di Gravina. Questo dato, da solo, testimonia del merito degli organizzatori e della Fondazione Ettore Pomarici Santomasi, custode del Castello. Ma al successo strepitoso della serata “ha posto mano e cielo e terra”: una spettacolare stella cadente appena prima dello spettacolo e i pellegrini e ambasciatori della tradizione musicale della Galizia, venuti dal Finisterre spagnolo, il Fisterra della Galizia; proprio da Santiago de Compostela sono arrivati i menestrelli di Milladoiro.
I Milladoiro sono stati bravissimi e davvero generosi: hanno incantato la platea per due ore abbondanti, facendo rivivere emozioni assopite da otto secoli, cioè da quando Federico II e la sua corte si erano deliziati di musica, poesia, falconeria e pesca (l’imperatore s’era fatto costruire anche un lago artificiale nella vallata attigua al castello dal suo architetto Fuccio, stando al resoconto del Vasari), esattamente in quel cortile e nei luoghi ameni che lo separavano da Gravina, “giardino di delizie” per Federico.
Tenuto conto del degrado progressivo del castello fin dai primi secoli della sua storia, bisogna ammettere che gli homines di Gravina e di Altamura – ai quali l’imperatore aveva imposto la manutenzione del castello – sono stati meno che diligenti. Quella sera gravinesi e altamurani erano in sintonia perfetta con i musici di Santiago; nella platea c’era anche gente, tanta, venuta da altre regioni. Chiunque abbia la fortuna di appartenere a una cultura ricca e variopinta non può farsi sfuggire un’occasione tanto ghiotta: giunge fino al cuore il linguaggio musicale di Milladoiro, “universale come quello delle zanzare” ha commentato argutamente Xosé Ferreirós, mentre ne scacciava una dalla sua zampogna. Xosé suona con il gruppo fin dalla fondazione nel 1978.
Serata indimenticabile, dunque, all’insegna del pellegrinaggio che unisce la gente di territori tanto diversi, da Santiago alla Terra Santa, attraversando la nostra Murgia. Gli artigiani che seguivano i pellegrini ci hanno lasciato testimonianze scolpite nella pietra gentile: basta notare le pettinature degli apostoli nella predella dell’ultima cena che sovrasta l’ingresso nel portale del duomo fridericiano ad Altamura.
Abbiamo sentito il calore umano, la fratellanza etnoculturale dei Milladoiro che ci attraggono a Santiago de Compostela con il nome stesso: milla d’oiro era il mucchietto di pietre, la pietra miliare che indicava la direzione di Santiago agli antichi pellegrini sul camino de oro, alchimìa dello spirito alla ricerca di se stessi.
Otto anni dopo e quasi all’anniversario esatto di quel concerto memorabile, la 22ª edizione della rassegna Suoni delle Murgia ospita un gruppo noto ormai su entrambi i lati dell’Atlantico: Hirundo maris (rondine di mare) è il nome suggestivo del gruppo, coacervo perfettamente armonizzato, tasselli di un mosaico di ceppi etnici che si incontrano e celebrano la propria tradizione musicale. Perfettamente affiatatinell’emiciclo scavato davanti a uno degli ipogei di Dimora Cagnazzi, ci hanno calamitati per due ore e mezza con i suoni dei loro strumenti tradizionali e i canti. Agli appassionati non sarebbe sfuggita l’eco dell’altro locus amoenus, del luogo altrettanto incantevole che è il maniero fridericiano di Gravina.
La Dimora Cagnazzi, già masseria della famiglia di Luca de Samuele Cagnazzi, era caduta in degrado progressivo nei due secoli scorsi. Ci sono voluti mezzi notevoli e soprattutto caparbia per ripristinare ed arricchire una struttura tanto importante per la storia, la geologia, l’archeologia e il valore paesaggistico del territorio altamurano rivolto a Est: è l’area interessata da reti di grotte ancora da esplorare, dalla Cava Pontrelli che ha restituito le impronte di dinosauri. Pochi sanno che proprio nella masseria Cagnazzi furono rinvenute tombe peucete e che Luca de Samuele Cagnazzi in persona volle fare omaggio di uno stupendo cratere attico alla regina Maria Carolina in visita ad Altamura il 13 maggio 1797. Una colonna alta quattro metri, istoriata ma difficilmente decifrabile e a sezione quadrata ricorda l’evento. Si trova a Largo Epitaffio e dobbiamo la ricognizione a Ninì Marvulli.
Arianna Savall Figueras (soprano e arpe), Petter Udland Johansen (tenore, violino norvegese o violino di Hardanger, mandolino), Ian Harrison (fiati) e David Mayoral (percussioni) hanno presentato una galleria di suoni e canti in atmosfera sognante, messaggi portati dalla rondine di mare sulle onde del Mediterraneo fino ai mari scandinavi; e il filo conduttore delle melodie distanti nel tempo e nello spazio è la radice popolare delle composizioni, anche nel caso del canto devozionale alla Madonna composto da Alfonso X El Sabio, pronipote di Federico Barbarossa e quindi procugino di Federico II. In tale atmosfera musicale sfuma la distanza tra i canti sefardici del sec. XI, i canti ispanosemitici e i componimenti trovadorici del XII fino alla versione norvegese del mito di Tristano e Isotta.
Chi scrive ha avuto il privilegio di seguire le lezioni universitarie di Josep M. Solá-Solé, tra i massimi studiosi dei testi ibero-semitici agli albori della poesia d’amore sulle sponde del Mediterraneo, alla corte di Federico II a Palermo e di Alfonso el Sabio in Andalusìa. Basta pensare che nel X secolo Cordova era la città più popolosa d’Europa e vantava una biblioteca pubblica con oltre 400mila volumi. L’impronta della musica mediorientale e i temi delle harga-s sono evidenti nel programma eseguito da Hirundo maris: piaceri e sventure d’amore, canti di lontananza e le mille sfaccettature dell’amicizia, resi con brio e maestria dal soprano Arianna, che tesse le note nel canto con le sue arpe, e Petter il menestrello vichingo che evoca accordi fiabeschi dal suo violino con il riccio a testa di drago e presenta lo strumento – orizzontalmente – come un naviglio vichingo.
Spettacolo di altissimo livello, dunque, nella cornice di ipogei che fanno pensare al labirinto: ne è uscita trionfante Arianna, senza filo ma con più di cinquanta corde (dell’arpa) che ci hanno fatto sognare.
È stato molto gradito il fuori-programma della vicenda del giovane altamurano pellegrino sul camino de oro verso Compostela. Il bel giovane respinge gli ammaliamenti di una locandiera e lei si vendica rivolgendosi a Satanasso che lo fa appendere a capofitto in un pozzo. Giunta al santuario, la madre del giovane si rivolge a San Giacomo che premia la virtù del giovane e gli salva la vita. Occasione ghiotta per l’intervento di Maria Moramarco che ha aperto il canto in dialetto altamurano, seguita poi dal catalano e dal francese di Arianna Savall e dal norvegese del vichingo Petter: preziosa collaborazione all’insegna dell’amicizia, della musica che ci accomuna.
Giuseppe Bolognese
31 luglio 2023
Opere Luca De Samuele Cagnazzi: BIBLIOTECA / ARCHIVIO (museovirtualealtamura.com)