L’eco lontana del ruggito
La leonessa usciva furtivamente da porta Bari, sperava di non essere notata, quatta, come nella savana, abilmente mimetizzata, sgattaiolando potrebbe dirsi, se il gerundio non la ponesse a stretto paragone con felini più piccoli e pavidi. La leonessa perdeva denti e artigli già durante il percorso, la necessità di salvarsi le aveva fatto preferire un’altra veste, altre prede, territori diversi di caccia e stanzialità. “Chissà, se ne saranno accorti?” si chiedeva, timorosa, ma anche strafottente. Le spalle al nemico, i moti, la rivoluzione, la libertà, gli alberi innalzati, frettolosamente, forse, nella smania di sentirsi liberi, uguali, come i napoletani, già protesi nei percorsi delle rivoluzioni europee… troppi ricordi vicini, pesanti, molti incubi, forse. No, non diventava pecorella, piuttosto, iena, volpe, gattopardo; al coraggio di un tempo si sostituiva la furbizia, al giusto calcolo la spavalderia, alla tattica la strategia. Ce ne siamo accorti dopo: alla collettività, al popolo unito, al desiderio di libere corse coraggiose e in branco, si sostituì mano mano un individualismo becero; e quando questo è ormai sopraggiunto, c’è poco da fare, si perdono le radici, si lascia la memoria, un futuro qualsiasi attende più roseo di quanto non sia, il passato muore, che vada via, lo si vorrebbe mai vissuto, lo si rinnegherebbe interamente .
Ce ne siamo accorti dopo, un secolo, un secolo e mezzo, da quel momento in poi, uno spartiacque esistenziale lasciava che Altamura perdesse pezzi importanti della sua, della nostra storia. Da quel momento, e forse non è un caso, cominciavano le demolizioni di vestigia architettoniche parecchio importanti: il castello angioino, il convento quattrocentesco di San Francesco d’Assisi a pochi passi dal primo, i porticati del corso, e mille altre piccole opere, culminando poi nelle demolizioni del vecchio Carmine, con la torre, la porta di Sant’Antonio, il granaio, la chiesa di San Giovanni Battista, quella di San Marco, e poi San Sepolcro e le cappelle della via Crucis. Quanta identità persa, chissà se saremmo più fieri di dirci altamurani, se ancora avessimo quegli edifici, quegli altri simboli, altri segni in cui riconoscerci, se fossimo solo stati in grado di conservarli. La leonessa, sparendo, si era portata con sé il bagaglio più importante: l’identità. Per un piatto di lenticchie, sicure, abbiamo venduto la primogenitura partorita dalla nostra storia. Da allora tutto è concesso, la pecora ha belato, ha seguito, ha ascoltato, infine è sparita anche lei, la sua casa, la sua Murgia, i suoi sterpi odorosi, hanno lasciato il passo al grano, alle spietrature, alla infame parola “finanziamento”. Ora, spesso, ragliano gli asini, il belato obbediente degli armenti sembra non aver potere, troppo alto il volume dei rutti, delle risate stridule e delle gozzoviglie delle iene, che hanno riso troppo presto per le violenze perpetrate sul territorio. Il ruggito è lontana eco che poco rimbomba sulle pietre taglienti delle Murge. Ma nello stomaco, nel profondo delle nostre pance, satolle di lenticchie, si muove ancora quella spinta, quel soffio, l’anelito del 1799, o una parte di esso? E siamo oggi capaci di ascoltarlo? Ancora, forse, di farlo nostro, di svegliarci, di seguirlo… Forse.