“LA BANALITÀ DEL BENE” L’ULTIMO LAVORO DI RICERCA DI RENZO PATERNOSTER
Nuovo lavoro a stampa del saggista e ricercatore scientifico gravinese Renzo Paternoster. In linea con il suo ambito di ricerca, ha scritto un saggio sulla “morte come progetto politico”, come detta il secondo titolo. È intitolato infatti “La banalità del bene. Dalla pena capitale agli stermini: la morte come progetto politico, ed è pubblicato per i tipi di Tralerighe editore di Lucca.
Il saggio prende avvio dalla spiegazione di cosa è il male e qual è la sua sostanza. Questo è servito all’autore per introdurre i “corsi e i ricorsi dei processi che portano a ‘giustiziare’ le persone”, sia attraverso la pena capitale sia attraverso stermini di massa… perché c’è un filo logico che collega entrambi, in quanto sono una decretazione di morte inclusa in una volontà politica, la prima individuale, la seconda in massa.
L’autore ha poi voluto inquadrare sia la pena capitale sia gli stermini di massa. Nel primo caso l’ha fatto attraverso un excursus storico che parte dalla legge del taglione e arriva alla pena intesa come espiazione della colpa. Ha poi confrontato giustamente le due “anime” di questa pratica, quella a favore e quella contraria. L’autore, lo anticipiamo, è tuttavia contrario a questa pena… e ne spiega i motivi.
Anche riguardo gli stermini di massa ha dedicato una corposa parte storica, dall’Homo habilis sino all’attuale sterminio del popolo yazida, passando per le distruzioni medievali, quelle nel Nuovo Mondo, nelle colonie, e poi ancora il dramma armeno nella Turchia dei Giovani turchi, la tanatopolitica nazista, l’autogenocidio dei khmer rossi, il “desaparicidio” (come l’ha lui stesso l’ha chiamato) nell’America Latina delle dittature, il grande sterminio dei tutsi in Ruanda, la pulizia etnica nelle guerre dell’ex Jugoslavia.
Interessante è il capitolo in cui si risponde alla classica domanda sull’argomento stermini: come è stato possibile che “normali” persone abbiano potuto compiere gli stermini in massa?. L’autore, con il sostegno della psicologia spiega il processo mentale che ha potuto trasformare le persone in assassinî seriali, riportando anche la storia di un boia, Jerry Givens, e di tre carnefici, il nazista Adolf Eichmann, il khmer rosso Kang Kek Ieu, la serbo-bosniaca Biljana Plavšić e la ruandese hutu suor Gertrude.
Il titolo del saggio, “La banalità del bene” è tutto spiegato nel capitolo in cui Paternoster elabora un nuovo punto di vista sugli esecutori che, come egli scrive, banali proprio non sono stati. Ribaltando il pensiero di Hannah Arendt, la quale coniò l’espressione “banalità del male”, Paternoster preferisce utilizzare l’espressione “banalità del bene”, poiché se “la banalità del male” presuppone un vuoto cognitivo, di giudizio, “la banalità del bene” è un pieno di nuove norme morali, di nuovi giudizi, di premeditazione e di passione. Paternoster apporta così un’aggravante al comportamento di chi giustizia le persone, perché instaura una precisa grammatica di potere che decide chi deve vivere e chi deve morire.
Il corposo apparato di note e la consistente bibliografia, rendono questo saggio — come tutti gli altri suoi saggi — un “ricco” e meticoloso lavoro di ricerca.
La Redazione