Anni Quaranta: conservatori e progressisti a Gravina in Puglia
Un noto politico di Altamura, il prof. Pierino Pepe, con il quale mi piace conversare, mi fa notare che a Gravina in Puglia, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, come in tutta l’Italia meridionale, emerge una questione centrale che porta allo scontro fra due mentalità: da una parte il mondo dei conservatori ed egoista, dall’altra quello progressista che lotta per una maggiore Giustizia sociale, motivata dalla fame e dall’assenza di lavoro. E’ esattamente quello che evidenziavo in termini diversi, ma sostanzialmente analoghi sul piano concettuale, nella mia prefazione al libro di Michele Gismundo, “La Ricostruzione a Gravina in Puglia 1943-1947”, quando testualmente scrivevo: “… i rivolgimenti sociali non avvengono a caso, alla base ci sono sempre delle tensioni opposte e inconciliabili perché non si vuole accettare il principio tutto evangelico della solidarietà”. Un’autentica Democrazia, che proclama “Lo Stato di diritto” dovrebbe far proprio il principio della solidarietà.
Lo scontro di mentalità si protrae tutt’ora: a livello mondiale, nazionale e cittadino tra chi detiene il cosiddetto patrimonio e chi stenta a sbarcare il lunario. A tal proposito voglio riportare alcuni esempi molto eloquenti riscontrabili a Gravina in Puglia: in paese ci sono diverse aree urbane della grandezza di veri e propri isolati che erano e sono proprietà degli Agrari latifondisti, protagonisti conservatori nel periodo storico oggetto del libro di Gismundo: vero scandalo in confronto a chi viveva con la propria famiglia in un tugurio dei rioni Piaggio e Fondovito.
Voglio riportare, a tale proposito, un aneddoto veramente accaduto e recepito da persone presenti in una masseria. Qualche decennio fa, un operaio alle dipendenze di uno di questi latifondisti si presentò al lavoro in masseria con una macchina nuova fiammante appena acquistata. Il padrone, osservandola dal terrazzo dell’abitazione, chiese al massaro dei campi a chi appartenesse quella macchina lussuosa. Con franchezza il massaro fece il nome dell’operaio interessato e la risposta del padrone fu categorica: “digli che da domani non venisse più a lavorare qui”! Lo stesso padrone diversi anni dopo ad un altro giovane operaio che analogamente aveva acquistato un’altra macchina dai colori vivaci, vedendolo di persona, gli disse immediatamente: “giovanotto, hai fatto un passo più lungo della tua gamba”! Non trascorse molto tempo e quel giovane andò a sbattere contro una muraglia e in un attimo vide distrutta la sua auto, ma per fortuna si salvò da quel micidiale impatto. Personalmente non sono superstizioso, ma la gelosia che, in questi due ultimi episodi, è alla base del rapporto tra il padrone e il salariato è peggio di una saetta fulminante. Garantisco che tali aneddoti sono accaduti veramente, non sono frutto di mia fantasia!
Sempre nella mia prefazione al volume citato mi interrogavo sulla massiccia presenza a Gravina dei senza Dio o miscredenti e individuavo la radice nell’atteggiamento spietato di molti latifondisti, alla cui classe apparteneva la maggior parte dei preti di Gravina, fatta salva la presenza di pochissimi come Don Eustacchio Montemurro, don Saverio Valerio e qualche altro, che pur appartenendo ad un ceto benestante, nutrivano sentimenti di solidarietà e pietà verso i miseri.
Quel politico mio amico cita l’atto sacrilego perpetrato al crocifisso buttato in un pozzo dai facinorosi di quel momento storico. Purtroppo si deve parlare di atti sacrileghi al plurale perché mi risulta che furono spezzate le gambe al crocifisso dell’edicola di via Spinazzola, ora restaurato e riportato nella chiesa Madonna delle Grazie (entrando, nella prima arcata laterale destra) mentre in via Spinazzola nella stessa edicola ha preso il posto una copia similare all’originale salvaguardato proprio per il suo valore storico.
Un altro crocifisso, presente nell’Aula Consiliare del Municipio di Gravina, prima fu scaraventato dal Palazzo di Città nell’ area sottostante, poi buttato in un pozzo nei giorni dell’occupazione dello stesso Municipio, esattamente nei giorni dello sciopero ad oltranza e della cattura o detenzione forzata dei latifondisti sul Palazzo di Città, perché non volevano assumere manodopera nelle loro terre, e tale sorta di sequestro di persone durò fino a quando furono accettate le condizioni imposte dagli scioperanti. Il Padre conventuale Buonaventura Francesco Popolizio parla proprio di questi episodi nel suo libretto biografico dedicato a Mons. Fra’ Giovanni Maria Sanna.
Pietro Elia