Marina Angelastro, Una casa nuova
Modello indispensabile all’azione dell’individuo, il volontariato è il più prestigioso paradigma a favore del prossimo. A vocazione sociale, la mia atavica esperienza quale Membro del C.d.A. dell’Università Popolare della Terza Età “Leonardo Barnaba”, rappresenta per me non solo un incontrovertibile momento di crescita personale, ma un arricchimento profondo.
Durante le mie lezioni con oltre cinquanta corsisti (bei tempi, prima della pandemia), quasi sempre nelle ultime file sedeva un raffinato e cortese gentiluomo: il signor Vito Bottolo. Alzava sempre la mano per interagire e quando lui parlava, con il suo accento veneto, incantava tutti per la profondità dei suoi pensieri.
Nato a Treviso, dopo i primi anni di vita passati in brefotrofio, a 5 anni quel bambino bellissimo dagli occhi celesti e dall’animo buono, è adottato da una famiglia veneta che ne tempra corpo e mente nella miseria degli anni ’50. Da ragazzo si sposta in Friuli e lavora come verniciatore di mobili. Conosce una donna stupenda di Altamura e dagli ’90 si trasferiscono nella Apulia murgiana: ha due figli e tre nipoti.
Oltre ad essere invitato più volte dalla Tv locale Canale2, scrive costantemente per suoi romanzi. Poi arriva la pandemia. Le sue condizioni di salute traballano, viene operato, tracheotomizzato: pur non abbracciandolo, vado a trovarlo nella sua casa e, da allora, non ci allontaniamo più. WhatsApp è il nostro Logos.
Oggi il signor Vito Bottolo ha 73 anni. Mesi fa chiedo al Responsabile del sito web AlGraMà Dott. Michele Gismundo di valutare il suo inserimento e, felice, lo include fra i Redattori dei Coltivatori di Menti.
Ieri ricevo un messaggio dal signor Vito. Il mio cuore è a pezzi nel leggerlo. Dietro il suo consenso, scelgo di pubblicarlo, affinché possa servire a tutti coloro che soffrono per qualcosa (malattie oncologiche, cardiache, traumatiche o psicologiche) o che non apprezzano quello che hanno:
“L’altro ieri ho fatto la seconda seduta di chemioterapia (che è un po’ più pesante) per vedere se riusciamo a frenare la virulenza di questo male che sordidamente sta attaccando gran parte del mio corpo. Ero seduto sulla poltrona e mi sono trovato davanti ad una vetrata che fungeva un po’ da specchio, anche se rifletteva immagini un pochino confuse. Nel frattempo è arrivato l’esito della risonanza magnetica il quale diceva che era sparita la lesione cerebrale. Ma alla buona notizia si aggiungeva quella che evidenziava sei nuove lesioni su altre parti del cervello. Ora riprenderò altre
sedute radioterapiche. Mi sono guardato allo specchio e ho visto questo mio corpo. L’ho immaginato come una catapecchia che inizia a perdere pezzi. Ne ripari la porta e contemporaneamente cade la finestra. Ripari la finestra e cade il quadro all’interno. Rimetti il chiodo e si sgretola il muro. Sembra che questa catapecchia debba cedere da un momento all’altro. Quasi quasi mi devo costruire una casa nuova. Credo però che non potrò vedere la fine della sua realizzazione. Però questa nuova casa sicuramente sarà sempre fredda e vuota. No, ritorno e ripenso alla mia catapecchia sempre piena e costruita sui ricordi, emozioni, gioie e dolori, speranze, incontri, pianti e felicità. Queste sono le cose che ancora tengono in piedi la baracca. Si, mi basta solo rafforzarne le fondamenta e curare il legno tarlato. Si, devo continuare a fare iniezioni di fiducia e di speranza su queste fondamenta e con una bella verniciata questa catapecchia tornerà ad essere bella e accogliente più di prima”. (Vito Bottolo)
Marina Angelastro