Il vizio dello stupro: recensione del prof. Alberto Mirabella
Riceviamo e pubblichiamo con piacere la recensione all’ultimo saggio del gravinese Renzo Paternoster, inviata dal prof. Alberto Mirabella. Ricordiamo che questo saggio di Renzo Paternoster è stato presentato pubblicamente da noi di AlGraMà il 26 novembre 2021 presso la Sala Giorgio A.B.M.C. ad Altamura.
Alberto Mirabella è già docente di Materie Letterarie nelle Scuole Secondarie e poi presso l’Università di Salerno e la Scuola Universitaria di Specializzazione S.I.C.S.I., è anche saggista, critico letterario e d’arte, formatore docenti. Autore, tra gli altri di: Leopardi e la musica, Elementi di Didattica generale con un glossario pedagogico, metodologico (Edisud, Salerno 2003), Bbuono comm ‘o ppane, Antologia di Ricordi ovvero Aforismi, filastrocche, giocattoli, giochi, mestieri, soprannomi (BrunoEdizioni, Salerno, 2014), I giochi ed i giocattoli di una volta nei loro aspetti socio-antropologici, iconici, (Salerno 2020).
La lettura del saggio di Renzo Paternoster il vizio dello stupro ti coinvolge emotivamente sin dalle prime pagine rendendoti partecipe di un fenomeno atavico qual è la “violenza sessualizzata” contro le donne. Tout court ti viene da riflettere sui comportamenti degli esseri umani che fanno prevalere la brutalità sulla razionalità. E allora il pensiero corre a Blaise Pascal che nella sua opera Pensieri ci parla dell’uomo e come in lui coesistano grandezza e miseria e così afferma: “L’uomo è tanto grande […] ma l’uomo non è che un giunco, il più debole della natura. È pericoloso troppo far vedere quanto sia simile ai bruti, senza mostrargli la sua grandezza” [Pascal, Pensieri, UTET, 1968, pp. 124-126].
E giustamente Salvatore Quasimodo, di fronte agli orrori bellici del secondo conflitto mondiale, nella lirica Uomo del mio tempo, ritiene che l’uomo sia ancora quello della pietra e della fionda. E poi abbiamo Elsa Morante che nel suo romanzo storico La storia [Einaudi, 1974] sottolinea come la historia sia uno scandalo che dura da diecimila anni.
Sostanzialmente seguendo il percorso storico di Paternoster vediamo come sin da primordi del mondo assistiamo a come viene “legittimato un ordine sociale che di fatto ‘colonizza’, attraverso una relazione di dominazione, una delle due parti, quella femminile” (p. 11).
Il testo è ben documentato e suffragato sia a livello di fonti che di note bibliografiche puntuali che dimostrano come il problema del rapporto uomo-donna risalga a momenti storici atavici, ma che erano caratterizzati da “una uguaglianza dei sessi e sulla sostanziale assenza di una precisa gerarchia” (p. 15). Ma subito dopo con le tre grandi religioni monoteiste abbiamo “una forte sterzata maschilista e misogina”.
E se consultiamo le più antiche norme nell’arco storico notiamo come la donna in genere abbia sempre avuto una funzione subordinata ed sia stata ed è una proprietà del maschio, sia egli padre, fratello, marito. E ciò viene ribadito già nel Codice di Hammurabi (XVIII secolo a.C.) in cui si precisa che la donna è proprietà del marito; e così presso gli antichi Greci e Romani la donna era considerata come un vero e proprio “possesso”. A livello letterario presso i tragici greci del V secolo emerge un atteggiamento maschilista che non dà alcun valore alle donne, tanto che Euripide fa dire ad Ippolito (nell’omonima tragedia) che sarebbe auspicabile che “gli uomini potessero acquisire il seme dei propri figli, senza aver bisogno di portarsi in casa una donna”. E sullo stesso piano si attestano Platone, Aristotele e Pitagora che vedono bene la donna in occupazioni domestiche.
Ma il peggio comincia a intravedersi con il Medioevo e l’Occidente cristiano che risalendo alla Bibbia vede nella donna “un uomo mutilato”, strumento del diavolo “Diaboli ianua”; e poi c’è sempre il solito ritornello della disobbedienza verso Dio nell’Eden di Adamo ed Eva.
Da Eva tentatrice alla grande meretrice, la figura femminile – raccontata da teologi e filosofi, sempre di sesso maschile – oscilla schizofrenicamente fra l’angelo del focolare, la madre premurosa, e la lasciva prostituta tentatrice che, attraverso un meccanismo da Caprio espiatorio, diventa la causa delle tentazioni e degli errori maschili. Schizofrenia che si ritrova nella venerazione per la madre creatrice di vita e per la ghettizzazione della donna durante le mestruazioni, considerata impura in varie culture, come quella ebraica tradizionale.
Se la madre viene santificata, la diabolica meretrice merita il castigo di dio o anche la violenza maschile come sanzione normativa necessaria per ristabilire l’ordine violato, com’è nella grammatica del potere disciplinare. Da qui, nasce l’idea di bruciare le donne, vera e propria pratica giuridica accolta nel Malleus maleficarum.
La sessuofobia ha sempre caratterizzato la Chiesa di Roma e si noti come la persecuzione delle streghe, vero atto di misoginia, sia sempre stata riservata alle donne e talora anche a bambine [E. Hasler, La strega bambina, tr. It. TEA, 2003]. Come capitò alla piccola Katarina Schmidlin che fu arsa sul rogo perché si era vantata di saper “fare uccelli” vivi con il fango. Nell’Europa dell’Inquisizione anche la fantasia poteva diventare reato, ma sempre contro le donne.
Pervenendo al XVIII secolo le donne acquisiscono una parvenza di autonomia, e subito sia con la Rivoluzione francese che con l’età napoleonica si ha una forte repressione come quella che subì Olympe de Gouges (1748-1793 che ha l’ardire di presentare nel 1791 la “Dichiarazione dei diritti delle donne e della cittadina” pensando di integrare la più celebre “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 1789.
E così formulava il suo pensiero: “La donna nasce libera e ha uguali diritti all’uomo”; e per questo suo coraggio viene condannata a morte ai tempi di liberté, egalité, fraternité!
Le guerre nei vari momenti storici non fanno altro che peggiorare la condizione della donna, che viene considerata un bottino/preda, occasione per offendere il nemico sconfitto. “Le donne continuano a essere offese, vestite di lividi, molto spesso sono uccise, regolarmente violate sessualmente” (p. 35).
E sono riflessioni incontrovertibili quelle che leggiamo nel libro ed è interessante notare come la violenza sulle donne costituisca soprattutto una violazione dei diritti umani. E soprattutto le guerre o le conquiste come quella dell’America (Indie) da parte degli Spagnoli (cattolici?) che ci dimostrano come ogni guerra sia stata l’occasione per le più schifose turpitudini contro le donne, il cui acme si ha con Hitler e il nazismo.
“La violenza sulle donne è una manifestazione prepotente che si ripropone nel corso della storia in forme diverse, ma nella sostanza sempre uguale. Attraverso la violenza, gli uomini perpetuano i processi di stereo tipizzazione nei confronti delle donne, marcando la disuguaglianza tra i sessi” (pp. 37-38).
Ma l’idiozia maschilista non ha avuto mai limiti come quando si coniò l’espressione vis grata puellae come se un atto di violenza sessualizzata potesse essere gradito alla donna.
Bello quando Paternoster chiarisce come debba essere una vera e autentica sessualità negli esseri umani: quella in cui devo prevalere i concetti di libertà e di dono:
“Se nel mondo animale è una manifestazione puramente istintiva e riproduttiva, la relazione sessuale negli esseri umani è una libera relazione di donazione di sé e di accettazione dell’altro che si inserisce in dimensioni culturali e non solo in fatti biologici […] e dev’essere liberamente partecipata, in caso contrario uno dei partner diventa oggetto e l’azione è violenta. [..] una violenza sessualizzata non soddisfa alcuna funzione erotica principale, poiché la causa della soddisfazione è da ricercare nella pretesa di imporre una propria volontà, nella umiliazione della vittima e del senso di potere che si ha su di essa. […] La violenza sessualizzata, specialmente nella variante dello stupro, diventa così una manifestazione di una volontà predatoria, un atto di dominio, un’opera punitiva, un gesto di offesa” (pp. 48-49-66).
L’acme della violenza sessualizzata con lo stupro si raggiunge nel secolo scorso, definito “secolo breve” da Erich J. Hobsbawn [Il secolo breve, Rizzoli, 2014]. Infatti le due guerre mondiali e soprattutto il nazismo hanno dimostrato come:
“lo stupro diviene un atto politico contro chi appoggia e condivide scelte ideologiche ritenute errate, sfidando le autorità costituite; può assumere anche la qualifica di gesto di offesa non solo, per la vittima, ma anche per la sua famiglia e per l’essenza collettiva di un popolo” (p. 69).
Questa barbarie dello stupro è continuata soprattutto nei regimi totalitari dell’America Latina e in Africa, come nel Congo che fu appellata nel 2010 come “capitale mondiale degli stupri”, poi nei Balcani (1992-1995) dove si assiste alla sessualizzazione del nazionalismo.
Sono molto amare e tristi le osservazioni finali dell’Autore:
“Lo stupro non è solo una scelta vendicativa per odio costruito, ma diventa anche arma e il corpo delle donne diviene il luogo della guerra nazionalista” (p. 202). E non bisogna nemmeno dimenticare i cosiddetti stupri “umanitari” perpetrati dai cosiddetti “operatori di pace”; e alla base di questi atti criminali contro le donne c’è sempre una violenza in una cultura sessuale predatoria.
E con grande amarezza Renzo Paternoster osserva e non possiamo non essere d’accordo con lui: “Ogni volta che si pensa di aver raggiunto il fondo, arriva sempre qualcosa che fa ricredere, comprendendo che il fondo, purtroppo non c’è”.
Alberto Mirabella