Intreccio di fili musicali eterogenei: Saverio Mercadante
Prosegue il viaggio toponomastico nella biografia di “Leonessa di Altamura”. Dopo aver desunto le attribuzioni storiche della Rivoluzione pugliese, mi soffermo, quasi in omeostasi, su una vicissitudine ed un’ora che cambiano il destino di un bambino di 4 anni. E’ quasi mezzanotte del 9 maggio 1799 quando principia la fuga di molti altamurani attraverso il monumentale pertugio di Porta Bari, varco sottratto al presidio dei nemici. Fra loro, scampati ad uno sterminio e provvidenzialmente evasi dal saccheggio della città, una madre coraggiosa ed il suo pargolo, Saverio Mercadante, che abbandonano la loro dimora (in Corso Federico di Svevia) e fuggono a Napoli. Nato ad Altamura il 17 settembre del 1795 o nella città partenopea il 26 giugno 1797 resta, ancora oggi, la diaspora piacevolmente sospesa fra diritto e legittimazione, atavico archetipo di gemellaggio fra due città che si contendono i natali di Saverio. Figlio illegittimo di un uomo vedovo da cinque anni, Orazio Mercadante, e della sua umile domestica, Rosa Bia, il giovane talentuoso accede al Conservatorio San Sebastiano nel 1808, vantando il cognome del padre.
Intanto il XIX secolo, per ragioni geopolitiche e sociali, ritrae una giuntura storica dal vigoroso scorrimento di musicisti, stili ed impianti compositivi. Lasciata un’impronta nella storia del melodramma che increspa la abituale forma e anticipa la moderna drammaturgia, lo schema autoctono del musicista altamurano anticipa soluzioni formali ed espressive sin dal suo esordio da compositore teatrale, a soli 24 anni.
Allievo di Nicola Zingarelli, dopo il debutto alla Scala di Milano, le opere melodiche, timbriche ed espressive, definite della “riforma mercadantiana”, vanno in scena in tutta Italia e in Europa (Spagna, Portogallo, Vienna, Parigi).
I numerosi caratteri di originalità propri della poetica di Mercadante, per trenta anni alla Direzione del Conservatorio di Napoli, annoverano multiformi prospettive di ricerca: sperimentazione autonoma delle fonti acquisite nei suoi viaggi, analisi ed indagine sulla produzione giovanile nel periodo napoletano, studio del dinamismo musicale non compositivo e progettazione (da impresario) del sistema produttivo. Importante anello nel percorso di trasformazione del melodramma romantico, in strettissimo contatto con Rossini, Bellini e Donizetti, Mercadante respira la stessa aria, e maturità, di Giuseppe Verdi: amplia le strutture dello stile declamatorio adoperando il coro come valore unificante, contrappone i solisti a composizione musicale strumentale, detiene un impatto emotivo di voci e orchestra, amplifica l’accuratezza dell’indagine teorica e suscita, nel pubblico, apprezzamenti e pregi di un’arte capace di esprimersi a livello profondo, immersa nelle veementi passioni, nei conflitti interiori e nella apoteosi emozionale.
Nel 1844 il Sindaco di Altamura, Tommaso Melodia, invita il più illustre musicologo di tutti i tempi a sancire un legame immarcescibile e commovente con la propria terra e così il giorno della festività della Patrona, il prolifico autore dona alla città, in occasione del suo ultimo ritorno, la partitura autografa dell’Inno a S. Irene.
Lo sperimentalismo di Mercadante non rende pienamente giustizia alla sua parabola creativa e alla massiccia sonorità orchestrale e corale delle sue opere. La peculiarità del suo destino, morto, cieco, a Napoli il 17 dicembre 1870, è la effusa integrità dell’oblio da palcoscenico che lo investe, come anatema che taglia e falce che miete. Quel bambino, Saverio, divenuto il celebre Mercadante, simboleggia la fluidità del melodizzare, la fresca sorgente di nuove ed intime atmosfere musicali ed autorali, autentico capolavoro e leggendaria consapevolezza che, nell’Ottocento, Altamura genera il suo più grande Maestro.
Marina Angelastro