Ferdinando IV “Altamurani buona gente e di bel sangue”
La 224esima memoria dei fatti di maggio del 1799 è propizia per riproporre la Premessa al volume di spunti e documenti, Zecher la Chorban (Memoria del sacrificio), che diedi alle stampe in occasione del bicentenario (maggio 1999). Dedicai quel volume “Ai giovani, perché dalle tragiche vicende traggano lezioni di pace”. Meno di venticinque anni dopo, ci riconosciamo nella medesima necessità di studiare la Storia per conoscerci, capire come e perché si spiega il mondo che ci circonda oggi: requisito imprescindibile per concordare politicamente – ossia per il bene di tutti – i piani per il nostro futuro. Il ritornello della “politica assente” che sentiamo da anni ha radici ben note alla tradizione del nostro vernacolo, ossia di quella lingua madre che abbiamo succhiato insieme con il latte materno (l’analogia aurea è incastonata nella prima lettera di Pietro). Quando i nostri anziani dicevano di qualcuno “senza pulìtəkə” intendevano dire appunto che quel tale era uno screanzato, maleducato, incapace di qualsiasi considerazione per il bene comune: l’idiota dei greci.
Ripartiamo! Cominciamo col donarci la pace, non con le parole ma con l’impegno convinto nelle azioni quotidiane: “la vergogna dell’uomo perbene — avverte Confucio negli Analecta (14, 29) è di accorgersi che le proprie parole superano i fatti”. Siamo all’epoca dei presocratici, più di duemilacinquecento anni fa, ancora con notevole ipoacusìa intellettuale, quel deficit uditivo che ci impedisce di migliorarci insieme. Il rimedio è alla portata di tutti: buona volontà, rinuncia all’egoismo, al protagonismo, salda collaborazione del pubblico con il privato per raggiungere quel bene comune che pure ci meritiamo. Non era solo omaggio di circostanza il saluto di Ferdinando IV agli altamurani festanti il 18 aprile 1797, dalla loggetta del palazzo vescovile: buona gente e di bel sangue, così li descrisse e con altre parole di ammirazione e soddisfazione nella lettera che quella sera indirizzò a Maria Carolina sua moglie. Insomma, meritiamo di più, rimbocchiamoci le maniche. In attesa della seconda edizione del volume, riporto qui appresso le pagine iniziali, che si attagliano bene, mi sembra, alle circostanze che viviamo
Presentazione del Sindaco
Nell’esaminare le testimonianze manoscritte e i lavori a stampa relativi alle vicende del 1799 è capitato a molti di “fantasticare”’ sul contenuto autentico di quei documenti. La distanza di tempo, l’impostazione filologica e soprattutto l’attaccamento viscerale alla nostra Città hanno consentito al prof. Bolognese di distillare significati e sintesi di cui i giovani, in particolare modo, potranno fare tesoro. Non potevamo augurarci di più in questo anno
bicentenario che ci riempie d’orgoglio per il nostro passato e che, grazie anche alla ricerca scrupolosa e metodica dello studioso, ci permette di prevedere un futuro migliore per gli studenti di oggi, protagonisti della Storia altamurana che sarà.
È con questo auspicio, profondamente sentito e doveroso, che l’Amministrazione ringrazia vivamente l’autore e propone il suo lavoro attento ed accurato ai lettori, convinta com’è che ai cittadini più avvertiti non interessa tanto il rumore delle celebrazioni quanto lo spirito che metteremo nelle stes-
se e il peso morale e concreto che sapremo dare al ricordo, soprattutto al fine di cogliere la “contemporaneità sentita e viva del passato”.
Vito Plotino
Sindaco di Altamura
Il cielo altamurano di questo 10 maggio è terso e imbevuto di sole. Lo presidiano rondini e grillai; quelle garrule e festose che gareggiano intorno ai campanili, questi eleganti, maestosi, che tutto osservano sospesi altissimi nell’aria tepida, come intenti a registrare tutto: a futura memoria.
Nella memoria del sacrificio è insito il messaggio di Libertà, affermazione del sacrosanto diritto all’autodeterminazione. E questa l’eredità autentica che ci hanno trasmesso gli altamurani del 1799. Uccisi, imprigionati, esiliati ma mai privati del diritto di credere nell’autodeterminazione di un popolo. Giovanni Bovio, ardente meridionalista, insiste proprio su questa prerogativa, che identifica con il principio della sovranità nazionale, “principio del 1799”.
Alla folla stipata di “discendenti degli eroi del 1799” in Piazza del Duomo il 10 maggio 1899, per l’inaugurazione del Monumento alla Libertà di Arnaldo Zocchi, Bovio disse tra l’altro: “Voi facendo uso di questo principio condannerete i ministeri, condannerete le maggioranze supinamente servili, condannerete i metodi, condannerete gl’infedeli amministratori della giustizia e del pubblico denaro. Tutto ciò è diritto vostro. Ma avete voi sin’ora con altrettanta energia esercitata questa sovranità nazionale?
Avete resistito alla strapotenza del Governo e del denaro?” C’è tanta attualità nelle parole di Bovio, sia che si consideri la contingenza odierna del Paese, sia che ci si affacci sulla scena internazionale.
Accarezzo l’ipotesi – spero verificabile – che l’Arcidiacono Leopoldo Laudati, professore di grammatica greca ed ebraica nell’Università degli studi di Altamura, sia l’autore della cronaca scritta nel Registro d’Amministrazione del Capitolo dell’Assunta, proprio nei giorni terribili del saccheggio. Ebraica infatti è la didascalia biblica che il cronista sceglie come titolo della narrazione: Zecher la chorban. Significa memoria – o ricordo – del sacrificio pasquale o della distruzione. È una didascalia ben nota ai talmudisti e agli esegeti dell’Antico Testamento: memoria di Iahvè che risparmia le case degli Israeliti dimoranti in Egitto (Es 12, 21-27), ricordo della profanazione, della distruzione del Tempio (Sal 73, 7; Is 64, 10), ma anche fiducia nella ricostruzione, come attestano Aggeo e Zaccaria (il nome di questo profeta significa memoria di Iahvè: si noti la matrice semitica z-ch-r che, come zecher, vale “memoria”). Una postilla a pie’ della prima pagina della cronaca offre con scarsa convinzione – probabilmente è di questo secolo – la spiegazione di chorban: “in lingua etiopica significa focaccia” La ricerca è fatta anche di tentativi vani…
Si è scritto e si è detto recentemente che l’argomento del Bicentenario suscita ubbìe e rancori che comunque attualizzano il dibattito: atteggiamento decisamente malsano che può solo ostacolare il giudizio sereno e che – a duecento anni di distanza dagli accadimenti – rasenta l’assurdo. La storiografia moderna è concorde nel riservare il giudizio ai protagonisti; allo storico spetta il compito di interpretare le vicende e fornire così allo studente, protagonista di domani, elementi di giudizio per modellare il proprio comportamento.
Sono mutati i tempi: il comitato altamurano per le celebrazioni del primo centenario era assai diverso, meno articolato – per composizione sociale – rispetto al nostro di cent’anni dopo. Quindi la lezione di solidarietà, progresso, libertà del 1799 è servita e servirà a lungo, tanto indelebilmente è scolpita nella nostra pietra.
La nostra storia, dunque, è fatta di uomini e di pietra, conservata nella pietra, scolpita nella pietra livida e nel mazzaro dei nostri portali, coperta dalle lastre di pietra delle tombe peucete, di quelle medievali sui fianchi dell’abside originario della cattedrale federiciana, di quelle del 1799 nelle chiese.
L’evoluzione culturale di un popolo si misura con la coscienza dell’espressione artistica, con i riti funebri, con l’intervento sapiente sull’ambiente naturale, con l’operosità sancita da secolare tradizione artigiana, con la politica di conservazione dei beni culturali, con la pratica socialmente matura del mutuo soccorso: concetti che trovano una sistemazione architettonica nei nostri claustri. Nei claustri si deve riconoscere l’antico nucleo sociale al quale bisogna tornare per ottenere rimedi antichi al moderno malessere sociale.
La ragione ci detta la speranza, quando è illuminata dalla Libertà: è la fede inattaccabile che E Mario Pagano stilava magistralmente nel documento fondante della Repubblica partenopea: “La libertà è la facoltà dell’uomo di valersi di tutte le sue forze morali e fisiche come gli piace, colla sola limitazione di non impedire agli altri di far lo stesso… La sola limitazione dell’esercizio della facoltà di pensare sono le regole del vero, La tirannia che inceppa gli spiriti è più detestabile di quella che incatena i corpi. (Progetto di costituzione della Repubblica napolitana presentato al governo provvisorio dal comitato di legislazione [1 aprile 17991 Illuministi italiani, tomo V, (‘Riformatori napoletani”, a cura di Franco Venturi, Milano-Napoli, 1962, p. 910).
Anni fa parlavo di cultura della pace con un frate francescano di Santeramo. La pace, dicevamo, dovrebbe essere oggetto di insegnamento scolastico. Il curriculum, per noi, è bell’e pronto: la nostra evoluzione sociale e culturale dal 1799. E giorno dopo giorno slimpara la pace.
Altamura, 10 maggio 1999
Autore Giuseppe Bolognese
Link fotografie Museo Virtuale Altamura 1799
RACCOLTA DOCUMENTI PROF. GIUSEPPE PUPILLO STORICO DI ALTAMURA (museovirtualealtamura.com)