Il culto di San Rocco e le sue statue in area murgiana

Grazie alla operosità della Confraternita Opera Pia San Rocco Ruvo di Puglia ho avuto la fortuna di assistere alla celebrazione ruvese della tradizione religiosa osservata da molte comunità della Murgia e dell’Appennino lucano. Gli amici di Ruvo erano in pompa magna perché questo 16 agosto hanno potuto esibire il frutto del loro impegno per il restauro della pregiata statua lignea di San Rocco di Montpellier. Il simulacro ligneo è opera tardosettecentesca  della bottega andriese di Nicolantonio Brudaglio e il restauro, delicatissimo, è stato affidato ad Anna Maria Riefolo e Maria Stragapede. Il risultato compensa ampiamente la solerzia devota del Priore Cosimo Calderola e dei confratelli. Persino il cane fedelissimo, simbolo della divina misericordia nell’apologo ascetico, ha riacquistato lo sguardo e i valori cromatici propri di un segugio provenzale, perfettamente consono con la missione taumaturgica del pellegrino di Montpellier.

Non conoscevo la chiesetta ruvese di San Rocco, né avevo mai assistito alla festa liturgica  del 16 agosto. La benedizione del simulacro restaurato mi ha donato anche il privilegio di partecipare alla celebrazione eucaristica presieduta da don Mimmo Cornacchia, vescovo di Molfetta-Giovinazzo-Ruvo-Terlizzi. Tanti anni fa (“più di quanti è decoroso ricordare” – commentava un preside sagace agli inizi della mia carriera) accoglievo nel mio studio le giovani promesse del Movimento Studentesco durante le mie ferie di studio ad Altamura. Il loro Assistente spirituale era proprio don Mimmo; insieme ne abbiamo ricordato una – molto promettente e saggia – che si è distinta in Astrofisica ed è salita al piano trascendente nel 2020. Oggi, 20 agosto, Rosa Loizzo avrebbe compiuto cinquantanove anni.                                  

La devozione profonda per San Rocco risale agli episodi di peste agli inizi del Cinquecento; Ruvo fu scampata nel 1502 e crebbe velocemente il culto per il Santo pellegrino, “specializzato” nella prevenzione e la cura delle malattie infettive. Gli venne dedicata la chiesetta, nacque la confraternita che prospera ancora oggi e si sono ampliate negli scopi le opere di solidarietà, come testimonia la presenza  a Ruvo della Congregazione delle Suore Gerardine.

 

È inevitabile domandarsi quanto sia diffuso ancora oggi il culto di San Rocco nell’area murgiana e nella vicina Basilicata. La presenza di simulacri del Santo nelle nostre chiese è un facile punto di riferimento. Ed ecco sùbito alcune sorprese. La popolosa Altamura vanta una stupenda statua lapidea nel Convento di San Rocco. Risale agli anni tra il 1630 e il 1650 e con tutta probabilità va attribuita al genio di Filippo Altieri, nato ad Altamura agli inizi del Seicento, figlio di un puparo siciliano e fondatore della bottega Altieri nel claustro omonimo, già Claustro dei pupi.

Agli Altieri si devono statue e suppellettili sacre presenti in buona parte della Puglia e della Basilicata. A commesse ruvesi delle ultime decadi del Seicento si devono esemplari notevolissimi di statue lignee per la processione dei misteri, in legno di ciliegio.

Buona parte dei lettori altamurani e non solo si domanderà se da noi sia mai esistito un convento di San Rocco o una semplice cappella dedicata a lui. Ebbene sì: abbiamo avuto un Convento di San Rocco attivo per almeno tre secoli, dalla fine del Quattrocento, solo che dagli inizi dell’Ottocento si parla della Chiesa di San Domenico, già parte del grande complesso monastico – sempre sotto il titolo di San Rocco – gestito dai Padri domenicani fin dal 1497. Tant’è che dietro l’altare maggiore della attuale Chiesa di San Domenico, nella parete di fondo, fu collocata la citata statua di pietra policromata. A San Domenico è consacrata la prima cappella a sinistra uscendo dal presbiterio.

Altra statua lapidea di San Rocco, certamente anteriore all’esemplare conservato ad Altamura, è nella Chiesa di Sant’Agostino e Parrocchia di San Giovanni Battista di Gravina in Puglia. La chiesa, già complesso monastico agostiniano,  è stata restaurata recentemente e la statua di San Rocco, notevole per l’espressione drammatica della missione eroica del pellegrino taumaturgico, presenta  una peculiarità: il cane è di legno, non di pietra, fenomeno certamente insolito che si presta a ipotesi fantasiose. Dove è andato a parare il cane di pietra, ammesso che sia esistito? La chiesa di San Domenico di Gravina in Puglia conserva anch’essa una statua di San Rocco, ma con il cane posto a sinistra del Santo.

Bisogna spingersi nella vicina Basilicata, però, alla ricerca della più ampia, più partecipata e più nota risonanza sia liturgica che devozionale nel culto di San Rocco. La capitale è indiscutibilmente l’antica Tulbia, la Toulbas bizantina, in provincia di Potenza: l’odierna Tolve. Il toponimo e il Santo sono diventati sinonimi: ”san Rocco, comunque, vuol dire Tolve”, scriveva Angelo Labbate (1945-2012) nel 2011. Era il dotto bibliotecario di Accettura, lui nato e morto nel proprio paese, cui era legato visceralmente.  Mi ha parlato di lui, con trasporto, il cugino Luciano Garramone, amico che stimo per il candore dei sentimenti, oltre che per l’estro poliedrico.

Ad Angelo Labbate dobbiamo anche la testimonianza divertente sulla concorrenza appassionata nella devozione degli accetturesi per Sandə Rokkə; le feste sono due ad Accettura: il 16 agosto la prima, nel rispetto della data stabilita dal martirologio; la seconda, Sandə Rokkə də Spagnə, si celebra nell’ultima domenica di settembre. Sorge logica e legittima  la domanda: “San Rocco di Spagna? Non era di Montpellier? Che c’entra la Spagna?” Ecco: la Spagna non c’entra, ma coincide con il casato di intraprendenti proprietari terrieri di Accettura. Proprio a Piazza San Rocco si trova il palazzo degli Spagna e la prima statua di San Rocco si conserva nella cappella contigua al palazzo, cappella e palazzo ancora appartenenti agli Spagna, non residenti ad Accettura. È avvincente il racconto della seconda statua, quella voluta “dal popolo,” commisionata ad uno scultore leccese non identificato e ricavata da un unico tronco di pino: due metri abbondanti di San Rocco, incluso il cappello da pellegrino, e nulla da invidiare al Palio di Siena che per accogliere la calca di turisti ha dovuto istituire la seconda edizione della kermesse di cavalli e fantini sfrenati.

”San Rocco, comunque, vuol dire Tolve”, e non c’è altra pretesa che regga. Se n’era accorto Carlo Levi; non poteva sfuggirgli la figura dominante del Santo sul monte che sovrasta Tolve e Carlo Levi ne scolpisce in prosa l’immagine. L’incontro con il Barone Nicola Rotunno, devoto della Madonna che si venera in un celebre santuario nei dintorni di Avellino (Montevergine?) presta l’occasione di parlare di San Rocco:

“Il discorso cadde così sui santuari e sui santi, e sul san Rocco di Tolve, un santo di cui io stesso ho potuto conoscere, per prove e favori personali, la particolare virtù. Tolve è un villaggio vicino a Potenza, e c’era stato in quei giorni un pellegrinaggio, come tutti gli anni, al principio di agosto. Uomini, donne e bambini vi concorrono da tutte le province circostanti, a piedi, o sugli asini, camminando il giorno e la notte. San Rocco li aspetta, librato nell’aria, sopra la chiesa. <<Tolve è mia, e io la proteggo>>, dice san Rocco nella stampa popolare che lo rappresenta, vestito di marrone, con la sua aureola d’oro, nel cielo azzurro del paese.”(Cristo si è fermato a Eboli, Oscar Mondadori, rist. 1978, p.38)

         La partecipazione massiccia di devoti mi ricorda una filastrocca che sentivo negli anni Cinquanta, da bambino, a proposito di processioni, funerali e altre occasioni di festa popolare. Il testo era attribuito al banditore di Tolve, u’ bannə də Tolfə: “Stasera, a 24ore, sə prokə u’ murtə: cjə nan gə vénə, condravvənzionə e mazzatə!”

         A proposito di partecipazione necessaria, mi gode l’anima di segnalare l’impegno medico e missionario di Pietro Venezia, chirurgo-oncologo che ha assistito don Tonino Bello. Sotto l’egida di San Rocco protettore di Montescaglioso, il dottor Venezia, montese emerito del Policlinico di Bari, organizza missioni assolutamente volontarie per le cure di emergenza del popolo dilaniato del Tigray in Etiopia. Le offerte per il progetto umanitario del dott. Venezia si possono esprimere anche con l’acquisto di una pubblicazione curata da lui, Rochus a Monte Pessulano. Chi desidera aiutare la causa si rivolga al 329 898 7844 o al 3519291015.

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Ringrazio di tutto cuore chi mi ha assistito nella raccolta dei reperti fotografici: Anna Maria Riefolo, Maria Stragapede,  don Michele Amorosini e don Vincenzo Pellegrini per le statue di Ruvo; don Saverio Paternoster e Carlo Centonze per le statue di Gravina in Puglia e Tolve; don Vito Incampo e Loreto Destefano per la statua lapidea di Altamura; Luciano Garramone e Vincenzo Labbate per Accettura e Tolve. Per l’invito e il sostegno nella stesura di questa relazione sono grato agli amici miei (“e non della ventura”) don Mimmo Cornacchia e Luigi Viscanti. A Luciano Bolognese e a Silvio Ragone va il merito di presentare e divulgare compiutamente questo scritto nella benemerita rivista della associazione AlGraMà.

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