Il Pane di Altamura
Il Pane di Altamura è uno dei più famosi e copiati, un simbolo della gastronomia di Puglia e dell’Italia intera.
Nel 1992 alcuni panificatori altamurani parteciparono ad una manifestazione sul cibo a Berlino, un primo passo verso altri riconoscimenti internazionali, poi la pagnotta tradizionale ha ottenuto per prima il marchio Dop nel 2003.
Il primo riferimento al luogo di origine di un pane molto buono in Puglia si ha nelle Satire di Orazio del 37 a. C. Seguendo il racconto con l’aiuto di una cartina geografica, risulta evidente che non si tratta di Altamura. Dopo Benevento la via Appia si divideva in due: una parte più interna che passava da Jesce ed una più costiera, l’Appia Traiana, quella seguita maggiormente da Orazio (Ruvo, Bari, Egnazia etc).
Anche ad Ascoli Satriano dicono che il loro pane sia quello nominato da Orazio, ma loro distano da Trevico (Av) molto più delle 24 miglia indicate nelle Satire. È più probabile che si tratti di Lacedonia, geograficamente più corrispondente e che si trova vicino al fiume Osento, dove gli acquaioli prendevano acqua da vendere, altro fatto specificato da Orazio (e ricordato da Plinio il vecchio alcuni decenni dopo). Ciò non esclude un legame diverso tra il nostro pane e quello nominato da Orazio.
Qualche altro ha voluto vedere un possibile legame con un antico pane trovato in una tomba egizia, di forma simile, associabile ad un lievito simile: ciò è possibile vista la pacifica Crociata di Federico II in Terrasanta, che ricostruì Altamura ripopolandola anche con famiglie ebree. Un legame più probabile con la cultura ebraica è la nostra brioche a forma di treccia e ricoperta di zucchero, che si confonde facilmente con un pane dolce (pane del sabato) tipico della tradizione ebraica, che si chiama Challa (o Challot), nome da cui potrebbe derivare il nome “cialledda”, nostro tipico piatto a base di pane. Un approfondimento si potrebbe fare controllando se altre città federiciane abbiano un pane simile al nostro.
Un altro racconto da verificare riguarda un fornaio altamurano che fu chiamato, contro voglia, a lavorare in Vaticano e che a volte scappava per tornare da noi, ma veniva riportato a lavoro dalle guardie del Papa.
Il nostro pane viene prodotto con sfarinato di grano duro, lievito madre, sale e acqua, ma questa ricetta in altri luoghi non dà lo stesso risultato, anche se il nostro potrebbe rientrare nella descrizione del pane del Sud in generale, fatta da Carlo Levi in “Cristo si è fermato ad Eboli”.
Alcuni documenti testimoniano la presenza ad Altamura di numerosi molini e antichi forni che sono tra le bellezze caratteristiche del centro storico della città. Un anno importante è il 1527 quando gli Statuti Municipali della Città attestarono le già tradizionali caratteristiche del Pane di Altamura.
Alcuni forni sono visitabili durante il processo di lavorazione del pane, cotto al fuoco di legno di quercia. Il forno detto di S. Chiara si trova in Via Luca Martucci 10, uno dei primi forni pubblici della città in cui vi hanno lavorato tante generazioni di fornai, costruito nel XV secolo per poi preparare il pane per le suore del Monastero; di forma cilindrica, sviluppata attorno alla struttura del forno, con cupola, ciminiera, base in pietra e muratura in tufo (come tanti altri edifici). La forma cilindrica è quella che meglio resiste ai terremoti; terremoti che possono aver influito maggiormente sulla storia di Altamura, producendo anche anomalie architettoniche, possono essere quelli del Molise (7.1 del 1456), di Foggia (6.7 del 1627), dell’Irpinia (6.8 del 1694), di Nardò (7.0 del 1743) e di Potenza (6.9 del 1857), mediamente uno ogni 90 anni, per questo non restano molto nella memoria.
A volte i danni agli edifici possono averli fatti le guerre come nella rivoluzione del 1799. Il forno detto di S. Caterina, in via Del Giudice 2, è datato al 1724 e conserva le caratteristiche storiche. Non lontano esiste via del Forno nuovo, che sfocia su Corso Umberto I, ma il forno cosiddetto nuovo non c’è più e non so quale potrebbe essere il vecchio.
Altro forno antico è quello della Cattedrale (U’ furn d’ la chjisa rann) di via Onorato Candiota 2 che, secondo un atto notarile del 1300, un fornaio di nome Giovanni e sua moglie ne donarono la metà della proprietà alla chiesa Cattedrale di Santa Maria Assunta. In un certo periodo sfornava pane unicamente per i chierici della cattedrale. Nel 1800 questo forno fu venduto definitivamente dalla Chiesa a privati.
Nel 1926 fu acquistato dai Di Leo, discendenti di una famiglia di fornai almeno dal 1663; c’è chi ancora ricorda Giacinto, Angelo e le sorelle che impastavano il pane, poi Peppino e Domenico (al quale, nella zona industriale di Jesce, è stata intitolata una strada) che consegnavano il pane al conservatorio del Carmine e Pietro, nominato cavaliere del lavoro nel 2017 dal presidente Mattarella.
A Matera, dopo l’armistizio del 1943, alcuni soldati tedeschi, fecero saltare in aria il palazzo della milizia, prima di dirigersi ad Altamura, provocando 11 morti. Qualcuno racconta che anche ad Altamura alcuni soldati volevano far saltare dei palazzi ma cambiarono idea quando gli furono offerti dei biscotti; all’epoca i biscotti erano rari, poche famiglie potevano permettersi di cucinarli in casa o nei forni pubblici e a volte venivano usati per pagare alcuni servizi o venivano barattati con altri prodotti (formaggi, carne ecc). Durante i periodi di guerra per i fornai era più difficile perché dovevano andare a lavorare anche durante il coprifuoco.
Nel 1956 un ragazzino di 11 anni, Vito Forte, iniziò a lavorare come garzone del forno della Cattedrale e a 19 anni poté già rilevare quel forno medievale che negli ultimi anni ha voluto ripristinare, facendone un museo inaugurato nel 2019. Il Museo vuole far esplorare l’universo del pane di Altamura a partire dalle origini. I visitatori possono curiosare tra antichi strumenti di lavoro e scoprire i diversi tipi di grani, farine e forme di pane. L’allestimento comprende foto storiche e monitor che, con documentari e interviste, coinvolgono i visitatori senza compromettere troppo la storicità del luogo.
Il compito dei garzoni fino a qualche decennio fa, era quello di passare di casa in casa per ritirare il pane impastato dalle donne, ricevendo come mancia una parte dell’impasto (cicì); lo portavano a cuocere nel forno dopo la marchiatura con le iniziali del capo famiglia, perché era vietata la cottura in casa, a parte piccoli pezzi (a volte fritti) fatti per accontentare i bambini (picc-latidd).
La cottura invece veniva pagata in periodi particolari. Il risultato finale dipendeva anche da come veniva lavorato l’impasto: nei casi migliori si parlava di donne con le mani calde, che era anche un modo di dire per descrivere chi preparava meglio l’impasto (bisognava anche fare attenzione alla lievitazione), iniziando alle 3 della mattina un rito che generalmente si ripeteva circa ogni 10 giorni.
Il pane doveva durare per essere consumato dai contadini che passavano vari giorni nelle campagne, date le lunghe distanze e i lenti mezzi di trasporto. Per sfamare le famiglie numerose si producevano in generale pezzi di pane fino a 5 chili. Qualcuno, per risparmiare sul servizio di cottura, pensando di poter prendere in giro il fornaio, provava a fare una pagnotta un po’ più grande; si evitavano pezzature eccessive per ottenere una cottura migliore.
Pani particolari, di carattere votivo, vengono prodotti in occasione delle feste di sant’Antonio e san Giuseppe. Sant’Anna oltre ad essere la protettrice delle partorienti, ad Altamura è considerata anche la protettrice dei fornai, che in occasione della festa raccolgono offerte per il comitato.
A Pasqua si facevano i biscotti con u ialnatur, attrezzo usato per stendere l’impasto e ottenere biscotti piatti. Per l’Immacolata si facevano le focaccelle, dolci dalla consistenza delle brioche che le nonne facevano per i nipotini che li andavano a trovare. L’elenco dei vari tipi di pane, biscotti, taralli ecc è molto più lungo e ci vorrebbe uno studio a parte; altrettanto vale per le famiglie di bravi fornai altamurani (chi compra il pane lo sa).
Silvio Ragone