Sono stato arbitro: posso parlare
La polemica con gli arbitri di calcio è sempre attuale. La Fbc Gravina spesso perde le gare per colpa degli arbitri, sostengono dirigenti, calciatori e tifosi. Non ultima quella di domenica 17 novembre 2019 con il Fasano (1-0). L’esperienza di vita vissuta di qualcuno può e deve dare un contributo di serenità e di fiducia ai tifosi delusi, forse, da un arbitraggio “scandaloso” in alcune gare di calcio. Compiuti 16 anni partecipai con entusiasmo al corso di Arbitro di calcio diretto da Enzo Tremamunno. Iniziai l’avventura arbitrale nel 1966, una esperienza che mi porto dentro ancora oggi, fiero di aver espletato una funzione delicata, educativa, sociale, di rilevanza sportiva. Un’ attività che ha a che fare con l’osservanza delle regole. Ed è tutto dire. Quelle regole che ti fanno uomo responsabile nei rapporti interpersonali, nella convivenza civile e del rispetto della dignità dell’altro. Nello sport, osservando le regole, impari a vivere. Erano gli anni dell’arbitro internazionale Concetto Lo Bello, che faceva scuola con i suoi arbitraggi. Il più famoso, certo, e forse il più grande. Il suo fischio non era modulato, vago come quello dell’usignolo, era acuto e perentorio. Lacerava l’aria. Fare l’arbitro non è semplice. A fine partita c’è sempre qualcuno scontento di te e gli oltraggi sono all’ordine del giorno. Io non mi sono mai arreso. Un po’ anche per abilità mia, non ho mai ricevuto un cazzotto da nessuno. Qualche volta ho avuto paura, lo ammetto. Fare l’arbitro comporta rinunce e sacrifici. Mentre gli altri festeggiano per la vittoria o si rammaricano per la sconfitta l’arbitro rimane solo. Solo a riflettere sul comportamento di quel tifoso sugli spalti, che durante la gara imprecava e minacciava continuamente. Non mi sono mai arreso di fronte alle difficoltà che incontravo. C’era gente che veniva al campo sportivo solo per infastidire e offendere l’arbitro, piuttosto che pensare al gioco e al divertimento. Particolarmente impegnativo, in quegli anni Settanta, era l’arbitraggio al campo sportivo “Cagnazzi” di Altamura, con quelle canicole così calde in tutti i sensi. In quegli anni il campo sportivo comunale di Gravina era in perenne manutenzione e precarietà. Fu allestito un “terreno di gioco” addirittura sul piazzale dell’ex linificio, proprio a ridosso dei capannoni adibiti a stalle e scuderie, per la fiera degli animali che si celebrava in quell’area. Ho fischiato punizioni e rigori per oltre 17 anni, su investitura dell’infaticabile designatore arbitri Enzo Tremamunno. Ammiro i giovani che praticano l’attività di arbitro, perché quell’ambito aiuta a conoscere e distinguere i veri talenti e i galantuomini dai falliti. Senza gli arbitri, il calcio non potrebbe esistere. Faccio mie la riflessione sugli arbitri di un grande giornalista e scrittore, Edoardo Galeano: “Rare volte, qualche decisione dell’arbitro coincide con la volontà del tifoso, ma neppure così riesce a provare la sua innocenza. Gli sconfitti perdono per colpa sua e i vincitori malgrado lui. Alibi per tutti gli errori, spiegazioni di tutte le disgrazie, i tifosi dovrebbero inventarlo se non esistesse. Quanto più lo odiano, tanto più hanno bisogno di lui. Per più di un secolo l’arbitro ha portato il lutto. Per chi? Per se stesso. E ora lo nasconde con i colori”.
Foto: Felice Losacco